La nuova disciplina delle dimissioni (aprile 2008)

Se fino a poco tempo fa per dimettersi era sufficiente una semplice comunicazione scritta, indirizzata al datore di lavoro, dal 5 marzo 2008 basta utilizzare un computer.
Ai sensi della legge 188/07 e del decreto ministeriale 21 gennaio 2008, il lavoratore, a pena di nullità e anche ove sussista una giusta causa di dimissioni, deve registrarsi sul sito del Ministero del Lavoro, scaricare il modulo per le dimissioni volontarie, compilarlo e farlo autenticare da un intermediario abilitato (Direzione Provinciale del Lavoro, Comune, Centro per l’impiego; in futuro e previa convenzione con il Ministero del Lavoro, anche sindacati e patronati).

Solo così il modulo acquista i caratteri della veridicità e, quindi, dell’ufficialità. Con l’autenticazione, viene consegnato un codice alfanumerico al lavoratore (o all’intermediario abilitato), che può stampare il documento di dimissioni, recante data certa.

Entro quindici da questa data, la “lettera” di dimissioni deve essere consegnata al datore di lavoro: il termine è perentorio e il suo mancato rispetto comporta la nullità delle dimissioni (così come, ad esempio, l’uso di un modulo diverso da quello ministeriale).

Il modulo deve indicare, fra l’altro, i dati del datore di lavoro (ditta, sede, partita IVA), quelli del lavoratore, nonché le notizie essenziali sul rapporto di lavoro (tipologia, data di inizio, orario) e sulle dimissioni (inizio del preavviso, motivi).

Destinatari della nuova disciplina sono, da un lato, tutti i datori di lavoro, comprese le pubbliche amministrazioni, i datori di lavoro domestico, le associazioni, le fondazioni, i partiti politici, le organizzazioni sindacali; dall’altro, tutti i lavoratori, senza distinzione fra operai, impiegati, quadri,  dirigenti, lavoratori a progetto, associati in partecipazione con apporto di solo lavoro e  soci di cooperative.

Fanno eccezione il personale della Polizia, dell’Esercito, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, i magistrati, i professori universitari, i lavoratori marittimi.

La disciplina in esame, inoltre, non si applica  in caso di dimissioni volontarie rassegnate durante il periodo di prova e in caso di risoluzione consensuale del rapporto (art. 1372 c. c.).

Da ultimo e in mancanza di regime transitorio, il decreto ministeriale stabilisce che il modulo non va utilizzato per le dimissioni già rassegnate (e consegnate) al datore di lavoro sino al 4 marzo 2008.

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La formazione professionale dell'avvocato (settembre 2007)

L'avvocato, com'è noto, ha, fra i suoi tanti doveri, anche quello di aggiornarsi costantemente (art. 13 del Codice deontologico forense), nonché quello di rifiutare incarichi "che sappia di non poter svolgere con adeguata competenza" (art. 12).
Con regolamento del 18 gennaio 2007, in vigore dal 1° luglio 2007 (art. 11 del regolamento), il Consiglio Nazionale Forense ha chiarito che il professionista deve "migliorare la propria preparazione professionale" e "partecipare alle attività di formazione" (art. 1).
L'avvocato, in particolare, deve seguire corsi, seminari, masters e convegni, organizzati ovvero scelti e accreditati dal Consiglio Nazionale Forense, dai Consigli dell'Ordine e dalla Cassa Nazionale di previdenza forense: ad ogni evento, previa valutazione, viene attribuito un determinato numero di "crediti formativi" (sino a 9 crediti per evento: art. 2).
Dal 1° gennaio 2008, tutti i professionisti devono conseguire almeno 20 crediti all'anno, ed accumularne, nell'arco di tre anni, 90 (art. 2). Sono previste agevolazioni (ma solo per alcune categorie, indicate nell'art. 4: fra gli altri, docenti universitari in materie giuridiche e commissari nell'esame di Stato di avvocato) ed ipotesi di esonero (ad esempio, per maternità e malattia: art. 5).
Il regolamento non contiene linee guida sui corsi da seguire, rimettendo il contenuto delle attività formative alla coscienza e serietà dell'avvocato e con il solo limite di 5 crediti annuali, che devono derivare da eventi riguardanti la deontologia e l'ordinamento professionale (art. 2).
Il mancato adempimento dell'obbligo di formazione, come la omessa o infedele certificazione delle attività formative, costituisce illecito disciplinare, sanzionato più o meno gravemente a seconda dei casi. Il Consiglio dell'Ordine può svolgere indagini "a campione" e chiedere all'iscritto una relazione sintetica sulle attività formative svolte nel corso dell'anno solare precedente, corredata dei documenti e dei certificati attestanti l'avvenuta formazione (art. 6).
L'inizaitva del Consiglio Nazionale Forense è meritevole e apprezzabile, in un periodo di "crisi" dell'Avvocatura: il numero degli avvocati ha raggiunto livelli "patologici", e alla crescita "quantitativa" non si è accompagnata una crescita "qualitativa" (colpa, forse, di un esame di Stato non più selettivo?).
Resta da vedere, da un lato, come i Consigli dell'Ordine - ai quali sono affidati, fra l'altro (art. 7), l'organizzazione, la scelta e la valutazione delle attività formative, la predisposizione del programma annuale degli eventi, la vigilanza sull'adempimento, da parte degli iscritti, degli obblighi formativi - attueranno il regolamento, evitando che la materia in questione diventi oggetto di speculazione, se non, peggio, di selvaggia commercializzazione; dall'altro, come i professionisti, alle prese con una giustizia sempre più macchinosa e con gli impegni quotidiani, cureranno la formazione.
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Sul c.d. danno "da vacanza rovinata":

- Tribunale Roma, 19.5.2003: "l'inadempimento o la cattiva esecuzione delle prestazioni fornite
in esecuzione di un contratto turistico impongono l'obbligo di risarcire il danno morale "da vacanza rovinata", consistente nello stress e nel minor godimento della vacanza";

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Tribunale Como, 6.4.2005: "Il viaggiatore che non riesca a fruire in tutto o in parte della vacanza per inadempimento del "tour operator" ha diritto al risarcimento del danno morale "da vacanza rovinata" consistente nello stress e nel minor godimento della vacanza". 

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Sui vizi di legittimità dei provvedimenti amministrativi istitutivi delle zone di parcheggio a pagamento:

- Cassazione, sezioni unite civili, 9.01.2007, n. 116: "il giudice del merito non ha esercitato un inammissibiule controllo su scelte di merito rimesse all'esercizio del potere discrezionale dell'amministrazione, ma ha solo rilevato vizi di legittimità dei provvedimenti amministrativi istitutivi delle zone di parcheggio a pagamento, consistenti nella violazione dell'obbligo di prevedere anche aree di parcheggio libero" (con conseguente nullità della sanzione amministrativa impugnata e con esclusione delle zone d'interesse storico e di quelle a traffico limitato -ndr).
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Sulla responsabilità del vettore aereo per i disagi dovuti alla mancata puntuale partenza da località straniera e alla forzata permanenza su territorio estero:

- Giudice di Pace di Catanzaro, 19.9.2006 (in Foro It., 2006, I, 3545): "il vettore aereo che non dimostri di aver adottato ogni misura idonea a garantire la puntuale esecuzione della prestazione, né abbia fornito ai viaggiatori alcuna informazione circa le ragioni del ritardo di un volo in partenza dagli Stati Uniti per l'Italia, è obbligato a risarcire in misura equitativa il danno non patrimoniale subìto dal passeggero per i disagi dovuti alla forzxata permanenza nella località straniera (nella specie, la cancellazione del volo, per la quale non risultavano documentati eventuali problemi sollevati dall'autorità di controllo statunitense, aveva comportato un ritardo di trentasei ore con una lunga attesa nell'area imbarchi dell'aeroporto)".
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Sulle spese giudiziali e sulla condanna del difensore alle spese di lite:

- Cassazione, sezione terza, 10.5.2005, n.9758: "in tema di spese processuali, il giudice di appello, in presenza di una censura che investe il giudice di primo grado sulle spese, specificamente indicxando giusti motivi di compensazione di esse, nonostante la soccombenza, ha il dovere di apprezzare, anche nel contesto di ogni altro elemento, la consistenza ed importanza dei fatti dedotti e di precisare, così, la ragione per la quale egli ritenga, sulla base di questi elementi, di dissentire dalla decisione di primo grado, ovvero di condividere quella pronuncia";

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Cassazione, sezione prima, 9.3.2005, n.5172: "in tema di regolamento delle spese processuali, la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell'ìpotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall'art.91 c.p.c., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa";

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Cassazione, sezioni unite civili, 10.5.2006, n.10706, in Foro It., 2006, I, 3099: "il difensore può essere condannato al pagamento delle spese soltanto qualora abbia agito senza effettivo conferimento della procura; viceversa, qualora abbia agito in forza di una procura nulla o divenuta inefficace, la condanna alle spese non può che essere pronunciata nei confronti della parte (nella specie, il difensore aveva interposto appello in nome del mandante deceduto dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado, ma prima della proposizione del gravame).
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Processo del lavoro: sul convenuto rimasto contumace in primo grado e sull'onere di contestazione:

- Cassazione, sezione lavoro, 1.7.1986, n. 4345: "nel processo del lavoro, la costituzione del convenuto avvenuta oltre il decimo giorno anteriore alla prima udienza, e cioè oltre il termine imposto dall'art.416 c.p.c., va considerata come costituzione tardiva del contumace (possibile sino all'esaurimento della discussione), sicché, fermo restando il potere - dovere del giudice di accertare la fondatezza in fatto e in diritto della pretesa dell'attore, il convenuto decade, in tale ipotesi, dalla possibilità di proporre le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio; peraltro, siffatta decadenza non si estende alle contestazioni, difese ed eccezioni improprie, proposte anche tardivamente dalla parte legittimata a contraddire, le quali non sono soggette all'indicata preclusione prevista per il giudizio in primo grado, né a quella ex art. 437, comma 2, c.p.c., relativa al giudizio di appello";

- Cassazione, sezione lavoro, 29.10.2003, n. 16265: "il convenuto contumace che si costituisca tardivamente nel processo del lavoro ha l'onere di effettuare le contestazioni dei fatti costitutivi della domanda nel momento in cui si costituisce";

- Cassazione, sezione lavoro, 21.8.2003, n. 12317: "nel rito del lavoro, il convenuto, rimasto contumace nel giudizio di primo grado, ben può nell'atto di appello contestare la fondatezza della domanda, nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 434 e 437 c.p.c. La previsione dell'obbligo del covenuto di formulare nella memoria difensiva di primo grado, a pena di decandenza, le eccezione processuali e di merito, nonché di prendere posizione precisa in ordine alla domanda e di indicare le prove dui intende avvalersi, infatti, da un lato, non esclude il potere dovere del giudice di accertare se da parte attorea sia stata data dimostrazione probatoria dei fatti costituvi e giustificativi della pretesa, indipendentemente dalla circostanza che, in ordine ai medesimi, siano state o meno proposte, dalla parte legittimata a contraddire, contestazioni specifiche, difese ed eccezioni in senso lato, e dall'altro non impedisce alla parte di sollevare (ed impone al giudice di esaminare) in qualunque momento - e quindi anche nel giudizio di appello - tutte le difese in senso lato e le questioni rilevabili d'ufficio che possano incidere sul rapporto controverso".
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